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Recensione videogame: Muramasa Rebirth

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Muramasa Rebirth è un porting per PS Vita di un gioco uscito nel 2009 per Wii.

E con questo potrei aver detto tutto (specialmente per quelli che “Ma 2014-06-04-205136sulla PS Vita escono solo porting di altre console!“), e invece non ho detto niente.
Perché, pur non essendo passato abbastanza tempo per considerare questa piccola perla un retrogame, è comunque un prodotto veramente tanto notevole che è una gioia, per i possessori di questa console portatile, avere l’opportunità di fare. O rifare.

Murasama Rebirth, secondo me, è una gioia per ogni senso del videogiocatore che si avvicina a questo titolo.
Ha delle musiche splendide, un gameplay che, seppur non presenta chissà quale varietà, ti incolla allo schermo e ti diverte e rilassa (c’è chi dice che questo gioco sia noioso e ripetitivo. Io l’ho giocato per più di 27 ore senza stancarmi mai, e avrei potuto continuare ancora a lungo), ma, soprattutto, ha un’estetica – perché non si può semplicemente definirla grafica – a dir poco splendida. Artistica. Meravigliosa.
2014-06-12-141014La storia, infine, pur non presentando notevoli qualità di profondità, è una storia che coinvolge, e che presenta numerosi picchi di coinvolgimento emotivo, anche grazie alla “trovata” dei tre finali, che presentano tre diverse possibili conclusioni delle vicende dei personaggi che, nel bene e nel male, ci hanno accompagnato e a cui ci siamo, nonostante tutto, affezionati.

E’ un gioco che si fa giocare e rigiocare – se si vuole completare al 100% bisogna affrontare tre finali per ognuno dei due personaggi giocabili, e per fare ciò sono necessarie diverse ore a grindare exp senza pausa –  senza, per me, smettere di essere piacevole, rilassante, e visivamente sorprendente.
Un gioco che, sotto tutti gli aspetti, è, sempre secondo il mio parere, un gioco imprescindibile per ogni possessore di PS Vita.

Lascio infine la parola alla mia nuova assistente Lhyà (sì, ho fatto in fretta) per il verdetto finale.

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Recensione Libri: Hyperion, Dan Simmons

TRAMA:

Sette pellegrini in viaggio verso le Tombe del Tempo. Ciascuno con un terribile segreto e una speranza. Attraverso la galassia in guerra vanno incontro allo Shrike: un semidio metallico e assetato sangue, dominatore di Hyperion. Nella valle delle Tombe del Tempo, di fronte allo Shrike, si compirà il loro destino. Per uno, uno solo, la realizzazione del più grande dei sogni. Un’affascinante e del tutto inedita epopea stellare. Una formidabile avventura nel tempo e nello spazio, fino alle ultime frontiere della scienza e della fantasia.

RECENSIONE:

Come al solito, nell’iniziare questo libro avevo solamente una vaga idea di quello a cui andavo incontro. Per questo, onestamente, nelle prime pagine, nonostante mi fosse stato entusiasticamente consigliato, mi sono ritrovata a storcere un po’ il naso. Non che mi dispiacesse, per carità, ma mi stava lasciando leggermente perplessa.
Fortunatamente, avanzando con la lettura, sono stata pienamente contraddetta.
Hyperion è un libro di fantascienza, anzi, un Signor libro di Fantascienza, con la F maiuscola. Era dai tempi della Fondazione di Asimov che un libro di fantascienza non mi lasciava tanto soddisfatta.
Il mondo rappresentato in questo fantastico libro è, ovviamente, un nostro futuro. Non ci viene fatta una lunga, noiosa e dettagliata presentazione: già dalle prime pagine veniamo catapultati nello scorrere degli eventi, nei vicoli delle città, nelle tortuose ambiguità dei ricordi dei vari personaggi giostrati con maestria dall’incredibile Simmons.
Piano piano, la storia, la civiltà e la complessa struttura di questo universo ci viene chiarita. Velo dopo velo viene sottratto, mostrandoci questa organizzazione incredibile, fin nei suoi più profondi intrighi e orrori nascosti.

Siamo nel ventottesimo secolo. Un grande Errore ha distrutto la Vecchia Terra (ma si tratterà veramente di un errore?) e l’umanità si è sparpagliata in decine di pianeti più o meno piccoli, una rete di mondi colonizzati governata dall’Egemonia. Hyperion è uno di questi pianeti, non uno dei più grandi, non uno dei più importanti politicamente. Anzi, a dire il vero, non fa neanche ancora parte completamente dell’Egemonia. Ma qui risiede qualcosa di unico e irripetibile: su Hyperion, infatti, abita lo Shrike, una sorta di divinità meccanica che sembra aver potere sul tempo e sulla vita degli uomini.
Ogni anno, molte persone – scelte tra i più fedeli – fanno un pellegrinaggio allo Shrike, con qualche desiderio in tasca. I pellegrini devono andare in un numero primo, e solo il desiderio di uno di loro verrà realizzato. Gli altri verranno assassinati.
In un momento in cui una nuova guerra sta per scoppiare, un ultimo pellegrinaggio viene mandato incontro a questa divinità. Sette, tra uomini e donne, sono diretti ad incontrare lo Shrike. Il loro è un pellegrinaggio più unico che raro: nessuno di loro, infatti, è un fedele di questa religione.
Per affrontare il viaggio, e con la speranza che questo possa salvare le loro vite nel momento chiave, i sette decidono di narrare ognuno la propria storia.
Ed è in questo che risiete il nucleo pulsante di questa strepitosa opera di fantascienza.
Piano piano, racconto dopo racconto, il puzzle di questa società incredibile si completa, si complica, si rafforza e si dipana, rivelando intrighi, misteri, magie del futuro e una storia profonda e ben strutturata.
Hyperion sembra ricalcare le orme del celebre “The Canterbury Tales“, sebbene il numero di pellegrini sia molto inferiore.
Il mondo, anzi, il futuro che ci viene presentato, pur nella sua assurda fantascientificità, appare solido e credibile. Anche questa era una sensazione che non provavo dai tempi della Fondazione. L’universo nella sua impossibilità sembra plausibile, anzi, probabile. Nella sua descrizione minuziosa e puntigliosa sembra già reale, già avvenuto. E’ un dono che pochi scrittori possiedono, quello di creare, con una tale precisione e una tale consapevolezza di dettagli, un intero universo, capace di portare il lettore a provare l’ambigua sensazione di conoscerlo da sempre.

Insomma. Dopo tante parole, il concetto è solo uno, puro e semplice: Hyperion è un libro meraviglioso. Non credo che si debba essere appassionati di fantascienza per apprezzare la sua sottile complessità, il suo universo intricato, la sua scrittura precisa e coinvolgente.
Nonostante sia il primo volume di una tetralogia, è un libro autoconclusivo. Nelle intenzioni di Dan Simmons, infatti, non doveva avere altri seguiti. Sicuramente, personalmente, leggerò anche i seguiti, ma già questo libro, da solo, è un piccolo tesoro.
Da leggere. Raramente mi sono sentita di consigliare un altro libro tanto quanto consiglio vivamente questo.

VOTO: 10/10