Recensione Libri: Hyperion, Dan Simmons
TRAMA:
Sette pellegrini in viaggio verso le Tombe del Tempo. Ciascuno con un terribile segreto e una speranza. Attraverso la galassia in guerra vanno incontro allo Shrike: un semidio metallico e assetato sangue, dominatore di Hyperion. Nella valle delle Tombe del Tempo, di fronte allo Shrike, si compirà il loro destino. Per uno, uno solo, la realizzazione del più grande dei sogni. Un’affascinante e del tutto inedita epopea stellare. Una formidabile avventura nel tempo e nello spazio, fino alle ultime frontiere della scienza e della fantasia.
RECENSIONE:
Come al solito, nell’iniziare questo libro avevo solamente una vaga idea di quello a cui andavo incontro. Per questo, onestamente, nelle prime pagine, nonostante mi fosse stato entusiasticamente consigliato, mi sono ritrovata a storcere un po’ il naso. Non che mi dispiacesse, per carità, ma mi stava lasciando leggermente perplessa.
Fortunatamente, avanzando con la lettura, sono stata pienamente contraddetta.
Hyperion è un libro di fantascienza, anzi, un Signor libro di Fantascienza, con la F maiuscola. Era dai tempi della Fondazione di Asimov che un libro di fantascienza non mi lasciava tanto soddisfatta.
Il mondo rappresentato in questo fantastico libro è, ovviamente, un nostro futuro. Non ci viene fatta una lunga, noiosa e dettagliata presentazione: già dalle prime pagine veniamo catapultati nello scorrere degli eventi, nei vicoli delle città, nelle tortuose ambiguità dei ricordi dei vari personaggi giostrati con maestria dall’incredibile Simmons.
Piano piano, la storia, la civiltà e la complessa struttura di questo universo ci viene chiarita. Velo dopo velo viene sottratto, mostrandoci questa organizzazione incredibile, fin nei suoi più profondi intrighi e orrori nascosti.
Siamo nel ventottesimo secolo. Un grande Errore ha distrutto la Vecchia Terra (ma si tratterà veramente di un errore?) e l’umanità si è sparpagliata in decine di pianeti più o meno piccoli, una rete di mondi colonizzati governata dall’Egemonia. Hyperion è uno di questi pianeti, non uno dei più grandi, non uno dei più importanti politicamente. Anzi, a dire il vero, non fa neanche ancora parte completamente dell’Egemonia. Ma qui risiede qualcosa di unico e irripetibile: su Hyperion, infatti, abita lo Shrike, una sorta di divinità meccanica che sembra aver potere sul tempo e sulla vita degli uomini.
Ogni anno, molte persone – scelte tra i più fedeli – fanno un pellegrinaggio allo Shrike, con qualche desiderio in tasca. I pellegrini devono andare in un numero primo, e solo il desiderio di uno di loro verrà realizzato. Gli altri verranno assassinati.
In un momento in cui una nuova guerra sta per scoppiare, un ultimo pellegrinaggio viene mandato incontro a questa divinità. Sette, tra uomini e donne, sono diretti ad incontrare lo Shrike. Il loro è un pellegrinaggio più unico che raro: nessuno di loro, infatti, è un fedele di questa religione.
Per affrontare il viaggio, e con la speranza che questo possa salvare le loro vite nel momento chiave, i sette decidono di narrare ognuno la propria storia.
Ed è in questo che risiete il nucleo pulsante di questa strepitosa opera di fantascienza.
Piano piano, racconto dopo racconto, il puzzle di questa società incredibile si completa, si complica, si rafforza e si dipana, rivelando intrighi, misteri, magie del futuro e una storia profonda e ben strutturata.
Hyperion sembra ricalcare le orme del celebre “The Canterbury Tales“, sebbene il numero di pellegrini sia molto inferiore.
Il mondo, anzi, il futuro che ci viene presentato, pur nella sua assurda fantascientificità, appare solido e credibile. Anche questa era una sensazione che non provavo dai tempi della Fondazione. L’universo nella sua impossibilità sembra plausibile, anzi, probabile. Nella sua descrizione minuziosa e puntigliosa sembra già reale, già avvenuto. E’ un dono che pochi scrittori possiedono, quello di creare, con una tale precisione e una tale consapevolezza di dettagli, un intero universo, capace di portare il lettore a provare l’ambigua sensazione di conoscerlo da sempre.
Insomma. Dopo tante parole, il concetto è solo uno, puro e semplice: Hyperion è un libro meraviglioso. Non credo che si debba essere appassionati di fantascienza per apprezzare la sua sottile complessità, il suo universo intricato, la sua scrittura precisa e coinvolgente.
Nonostante sia il primo volume di una tetralogia, è un libro autoconclusivo. Nelle intenzioni di Dan Simmons, infatti, non doveva avere altri seguiti. Sicuramente, personalmente, leggerò anche i seguiti, ma già questo libro, da solo, è un piccolo tesoro.
Da leggere. Raramente mi sono sentita di consigliare un altro libro tanto quanto consiglio vivamente questo.
VOTO: 10/10
Recensione Libri: Rabbia, Chuck Palahniuk
TRAMA:
“Come la maggior parte delle persone, anch’io non avevo mai incontrato Rant Casey né ci avevo mai parlato finché non è morto. Con la gente famosa è sempre così, quando tirano le cuoia la loro cerchia di amici intimi si ingantisce.”
Rabbia prende la forma di una storia (romanzesca) orale di Buster “Rant” Casey, nella quale un assortimento di amici, nemici, ammiratori, detrattori e familiari dice la sua su questo personaggio ambiguo, morto in circostanze tanto misteriose quanto leggendarie, che forse è stato (ma forse non è stato) il più efficiente serial killer della nostra epoca.
“Buster Casey sarebbe dunque per la rabbia ciò che ‘Typhoid Mary Mallon è stata per il tifo, Gaetan Dugas per l’Aids e Liu Jian-lun per la Sars.”
Buster è cresciuto in una cittadina nel mezzo del nulla, assetato di sensazioni forti in un mondo di videogames e di soffocante conformismo. Dopo le prime ribellioni al liceo scappa dal suo villaggio natale alla volta della grande città: cerca qualcosa, una comunità di persone, un’emozione inimmaginabile, un bandolo della matassa, un senso per la propria esistenza. E ben presto diventa il leader di un gruppo di giovani dediti a una sorta di rito-gioco di demolizione urbana chiamato “party crashing”: nelle notti prescelte i partecipanti decorano in modi bizzarri le loro auto e quando arriva il momento cominciano ad attaccarsi a vicenda cercando di cozzare con le proprie vetture contro quelle degli altri. Ed è proprio in occasione di una di queste violente cacce notturne che Casey incontra la più spettacolare e tragica delle morti al volante. Ma Casey è morto davvero?
RECENSIONE:
Palahniuk era uno dei miei autori preferiti, intorno ai 19/20 anni. Entravo in libreria e, se non trovavo altro da prendere, me ne uscivo con uno dei suoi libri sottobraccio. Ma probabilmente non è uno di quegli autori di cui si possa abusare senza risentirne. Con Invisible Monsters e Cavie, infatti, raggiunsi il limite di pulp che potessi sopportare, e lo abbandonai, complice il fatto che non vi vedessi più nulla né di originale né di innovativo in questo autore che sembrava voler continuamente fare a gara con sé stesso a chi disgustava di più il lettore.
Eppure, dopo quasi quattro anni di distanza, ho deciso di riprovarci con Rabbia.
La lettura è stata sorprendente, come il ritrovarsi con un vecchio amico con cui incredibilmente sentiamo di avere ancora molto da condividere. Oltretutto, probabilmnente responsabile anche il lungo distacco, le parole sembravano nuove, i contenuti rinfrescati, la storia colma di nuovi significati oltre il semplice disgusto.
Ma, appunto, parliamo della storia.
Fin dalle prime parole ci si trova di fronte a qualcosa che suona strano. Ci si ferma interdetti, non comprendendo esattamente cos’è che provoca questa incertezza. “Mah“, si pensa, “è Palahniuk“, e si va avanti.
Le voci che si uniscono nel raccontare la storia di Buster “Rant” Casey sono diverse e ben coreografate, sembra quasi di sentirle parlare nella propria testa, ognuna con un accento ed un’inflessione diversa, ognuno con una proprietà dialettica ed un bagaglio culturale differente. Alcuni parlano perché hanno vissuto in prima persona gli eventi narrati, altri solo per sentito dire all’interno del paese, altri riferiscono quanto Rant stesso ha narrato. Per questo le varie voci narranti sembrano a volte discostarsi leggermente una dall’altra, ma proprio per questo, finiscono col completarsi armoniosamente.
Rant è un ragazzino anormale, indubbiamente. La sua famiglia non è delle migliori, lo stesso padre sembra fregarsene del figlio. Ha doti incredibili: ha i sensi particolarmente sviluppati, ed un’incredibile resistenza ai veleni, per i quali nutre uninsana dipendenza che lo porta ad infilare mani e braccia in ogni tana di animale selvatico che incontra.
Ed è affetto dalla rabbia. Malattia cui crea una vera e propria epidemia nel suo paese, malattia che lo renderà macrabamente famoso.
La sua vita, descritta attraverso un coro di voci che lo plaudono o lo rimproverano, lo rimpiangono e lo recreminano, scorre tra qualche scappatella e qualche ribellione, finché non decide di lasciare il paese e raggiungere la città.
A questo punto c’è il dialogo chiave che permette di cominciare ad avere un sospetto fondato su cosa sta succedendo.
Subito dopo, tutto cambia.
Quello che poteva sembrare un normale, per quanto bizzarro, romanzo di narrativa, si sconvolge, presentando un mondo totalmente diverso da quello che conosciamo e in cui, fino a quel momento, credevamo fosse ambientato il romanzo. La civiltà che ci viene presentata è simile ma avanzata, con meno diritti, classi sociali differenti, e tecnologie totalmente sconosciute e quasi fantascientiche.
In questo mondo, Rant si ritrova a compiere ricerche su sé stesso, per poi scomparire, lasciando alle sue spalle amici adoranti e una taglia sulla testa.
Da questo punto non dico più nulla, perché ogni parola potrebbe rovinare il gusto di una lettura imprevedibile e sbalorditiva, accattivante e gustosa.
Rabbia è un romanzo strutturato perfettamente e presentato ancora più perfettamente. L’unica pecca sta in qualche passo che si dilunga un po’ troppo nello spiegare cose che, bene o male, si intuiscono facilmente.
Rabbia è un romanzo che consiglio vivamente a chi ha voglia di una lettura inconsueta, che è disposto ad accettare i dettagli più morbosi – ma neanche tanto, per gli standard di Palahniuk – e ad ascoltare le storie più incredibili.
Alla fine, chi può sapere qual è la realtà?
VOTO: 9/10
Recensione Libri: Il Signore della svastica, Norman Spinrad
Già nella copertina: “Se Hitler fosse stato uno scrittore, questo sarebbe stato il suo romanzo più allucinante”
TRAMA:
Il romanzo è presentato dall’autore come il capolavoro di un famoso scrittore di fantascienza, Adolf Hitler, esiliato dalla Germania nel 1913 e morto a New York nel 1954. Nelle settimane precedenti la sua morte, avrebbe scritto la storia di Feric Jaggar, il signore della svastica, una storia folle e surreale di conquista dell’universo da parte di una razza superiore di Veri Uomini. Nel 1142 A. F. (anno del Fuoco) il vero uomo Jaggar, alla testa di un esercito di fanatici, le SS, muove alla conquista del mondo, sterminando ogni forma di vita che non corrisponda ai suoi canoni di razza pura e perfetta.
RECENSIONE:
Il signore della svastica è unanimemente riconosciuto come il capolavoro di Adolf Hitler, il celebre scrittore di fantascienza morto a New York nel 1954. La genesi del romanzo, che precedette di poche settimane la morte dell’autore, è singolare come il contenuto del libro. Hitler scrisse la storia di Feric Jaggar, il signore della svastica, in una sorta di delirio allucinato.
Fin dalle prime, bizzarre righe di quest’opera inconsueta, si ha l’impressione di essere stati catapultati in un altro mondo, in un universo parallelo e stranamente sbagliato. Ed è proprio questo lo scopo che sembra voler raggiungere il brillante Spinrad. Apparentemente, l’autore sembra voler rispondere alla domanda: che ne sarebbe stato dell’odioso despota se, invece di continuare per la strada che lo portò ad essere il leader politico più invasato degli ultimi tempi, fosse emigrato in America? La risposta ci viene fornita fin dalle prime pagine: sarebbe diventato un disegnatore (molti sanno già che Hitler aveva notevoli aspirazioni artistiche), illustratore per riviste di fantascienza, e infine scrittore del genere e esponente importante in questo ambiente.
E’ quello che abbiamo di fronte è il romanzo che, chissà, forse Hitler avrebbe scritto se le cose fossero andate diversamente.
Chi sa se il nostro caro Waloternativo ha avuto “l’onore” di conoscere Hitler scrittore. Tra mondi paralleli ci si intende, no…
L’oscuro emigrante tedesco costretto ad abbandonare la Germania nel 1919 in seguito al fallimento di un putsch di elementi di estrema destra rivive nel romanzo i suoi sogni di dominio del mondo. Una volontà di potere folle e disumana pervade tutto il libro, storia di una delirante conquista dell’universo da parte di una razza superiore di Veri Uomini. La forza fantastica di queste pagine è tale che il lettore si domanda smarrito che cosa sarebbe potuto accadere se, invece di diventare uno scrittore, Hitler avesse potuto portare avanti i disegni politici intessuti in un momento di illusoria frenesia nella Germania sconvolta della Repubblica di Weimar.
Dare un giudizio finale a questo romanzo è qualcosa di molto difficile, per me.
L’idea che ha dato vita a quest’opera, e i passi iniziali della sua realizzazione, sono a dir poco geniali. Durante la lettura dei brevi passi che ho citato, mi sentivo emozionata, divertita, eccitata e conquistata.
Però, quando si passa alla lettura del romanzo (vincitore del premio Hugo in questo mondo parallelo immaginato da Spinrad), non si può non rimanere leggermente delusi.
Quest’opera geniale si divide in tre parti. La preparazione al romanzo di Hitler – geniale -, il romanzo di Hitler – noioso -, e l’analisi del romanzo – di nuovo geniale.
Se avessi letto solamente il romanzo, il parere sarebbe stato indubbiamente negativo. Le descrizioni forzate e ridondanti, ripetitive e noiose, la trama banale dell’eroe predestinato e perfetto che deve sconfiggere i cattivoni brutti, sporchi e puzzolenti, le battaglie descritte con un’ossessività quasi inquietante e morbosa per la violenza e il disgustoso, e il linguaggio stentato e incespicante, fanno di quest’opera un romanzo a dir poco mediocre.
Terminata la lettura del “romanzo di Hitler“, però, scopriamo quello che forse avremmo potuto immaginare dall’inizio, visto come ci viene presentata l’opera: la bruttezza di questo romanzo è stata accuratamente scelta, levigata e curata. Norman Spinrad s’è preso l’agognata libertà di scrivere un romanzo brutto affinché sembrasse brutto dall’inizio alla fine.
I personaggi piatti e insignificanti, la trama ordinaria e noiosa, le descrizioni ripetitive e rivoltanti, la ricercata oscenità della metà degli eventi descritti, è qualcosa di deliberatamente ricercato.
Alla chiusura del romanzo, infatti, ci ritroviamo a leggere una postfazione scritta da un immaginario studioso, che analizza nei minimi dettagli la bruttezza e l’oscenità di questo romanzo. Diviene ormai evidente come Spinrad abbia voluto fino in fondo cercare di entrare nella mente malata, deviata e contorta del dittatore, esprimendo a parole il suo pensiero morboso. Spinrad si diverte infine ad utilizzare le proprie parole per evidenziare ogni singolo tratto della malata personalità del dittatore.
L’esagerata simbologia fallica, il rapporto malato con le donne, l’antisemitismo, l’ossessione e la paranoia, l’osceno narcisismo e l’inquietante amore per la violenza del “nostro” dittatore, vengono analizzati tramite le parole dello scrittore, in un’analisi a tratti divertente e a tratti deprimente per quello che esprimono.
Effettivamente, Hitler sembra presumere nel libro che masse di uomini in uniformi feticistiche, che marciano con precisione maniacale e con uno spiegamento di gesti e parafernali fallici, eserciteranno un fascino potente su esseri umani normali.
[…]
La violenza confina nel libro con la psicosi. Hitler descrive i massacri più tremendi come se non solo li trovasse attraenti, ma presumesse che anche i lettori ne siano altrettanto affascinati.
[…]
Qui al lettore viene offerto, per così dire, qualcosa di probabilmente unico in tutta la letteratura: la più orribile, perversa e odiosa violenza descritta da un autore che naturalmente è convinto che simili odiosi spettacoli siano edificanti, istruttivi e addirittura espressioni di nobiltà.
E infine, su tutto:
Ovviamente, una simile psicosi nazionale non potrebbe mai prendere piede nel mondo reale; la supposizione di Hitler che non soltanto potrebbe accadere, ma che sarebbe addirittura un’espressione di cosiddetta volontà razziale prova che lui stesso soffriva di una simile malattia.
Leggere passaggi simili strappa un sorriso e deprime, perché è facile immaginare come in un mondo in cui Hitler non si è dedicato alla politica cose che realmente ha realizzato possano apparire assurde e inconcepibili, mentre nella realtà gli esseri umani si sono rivelati all’altezza di un leader malato, morboso, perverso e sadico, la cui unica vera qualità era quella di essere un trascinatore di masse.
In definitiva, Il signore della svastica è difficile da giudicare: è un brutto romanzo, scritto male, ma per decisione volontaria ed elucubrata. D’altra parte, è un romanzo geniale e folgorante, che si dovrebbe leggere per inquadrare la nostra realtà in una prospettiva un po’ diversa.
VOTO: 6.5/7.5
Recensione Libri: La moglie dell’uomo che viaggiava nel tempo, Audrey Niffenegger
“La moglie dell’uomo che viaggiava nel tempo” è il romanzo d’esordio della brillante Audrey Niffenegger, scrittrice statunitense.
Ecco, scusatemi un attimo, fermiamoci un istante ad analizzare questo fatto: è il suo romanzo d’esordio. Consiglio a tutti i recensori italiani che sono particolarmente indulgenti con certe boiate della nostra moderna editoria, dicendo “Sì, ma dai, è solo il suo primo romanzo, non c’è bisogno di devastarlo”, di leggersi questo romanzo. Ecco come dovrebbe essere un romanzo d’esordio: già completo. Per carità, lo stile dell’autore può cambiare, ma dev’essere un vero romanzo, deve possedere competenze linguistiche, grammaticali e narrative.
Ok, torniamo all’argomento principale.
Devo essere sincera: nel recensire questo libro sarò ben poco oggettiva e molto emotiva. Sarà che sono a metà del ciclo, che ci volete fare. La verità è che l’ho finito questa notte dopo ore di trepidante lettura, che l’ho amato fin dalle prime pagine, e ho sbattuto più volte gli occhi per evitare che una disgraziata lacrimuccia facesse capolino dai miei occhi traditori nelle ultime pagine. Se me lo chiedete, insisterò fino alla morte che erano le due di notte, c’era poca luce e mi bruciavano tremendamente gli occhi.
Il semplice concetto che sto cercando di elaborare è che questo libro è sublime. E’ un piccolo capolavoro, una lunga poesia d’amore e d’avvenutra che è riuscita a fare breccia persino nel mio cuore inacidito e anti-romantico.
Ma partiamo dall’inizio.
Clare ha sei anni quando trova Henry, nudo e trentaseienne, nel giardino di casa dove solitamente va a rifugiarsi per stare in tranquillità, lontana dalla caotica famiglia. Il loro primo incontro, tralasciando la non indifferente differenza d’età, è decisamente anticonvenzionale: lei gli tira una scarpa in bocca, e lui le rivela di essere un viaggiatore nel tempo, prima di sparire come se non fosse mai esistito.
Henry ha ventotto anni quando una rossa ventenne gli salta praticamente addosso sul posto di lavoro, dichiarando di conoscerlo da quando ne ha memoria e costringendolo ad accettare un appuntamento con lei.
Da questo momento i pezzi del puzzle vanno lentamente al loro posto: il passato di Clare, che coincide con il futuro di Henry, viene lentamente rivelato in una serie di piccoli episodi che chiariscono uno alla volta l’ambiguità e la stranezza del loro unicissimo rapporto.
Sì, perché la realtà è semplice: Henry, per una rarissima (ma, come si scopre nel corso del libro, non unica) malattia genetica è quello che verrà definito una PCD – Persona Cronolicamente Disorientata -, che si ritrova, contro la sua volontà, ad effettuare balzi spaziotemporali in momenti di particolare stress o stimoli nervosi.
“La moglie dell’uomo che viaggiava nel tempo” è un romanzo che parla di libero arbitrio, di destino e di volontà. E’ un romanzo che parla d’amore, di distanza e incomunicabilità all’interno della coppia. E’ un romanzo che sviscera le possibilità di un viaggio nel tempo e del conoscere il proprio futuro, e tutti i problemi e i paradossi inspiegabili che possono nascere da questa situazione – come il fatto che Henry consegna alla piccola Clare una lista di tutte le date in cui si troverà nel suo giardino, lista di cui è a conoscenza perché Clare gliel’ha fornita quando si sono incontrati nel presente, e lista che lei ovviamente possiede perché lui gliel’ha dettata, eccetera, eccetera, eccetera.
E’ un romanzo che coinvolge, appassiona, commuove, fa innamorare, instristisce e fa sorridere come dei deficienti.
Parola dell’anti-romantica per eccellenza, che si è trovata comunque a fare il tifo per questa strana coppia inseparabile e a soffrire per le loro sofferenze, a ridere per le loro gioie. Credo, e lo crederò sempre, che sia questo il risultato più grande che possa ottenere un libro: quello di farti sentire parte di una famiglia, di farti entrare dentro il libro e darti la sensazione inequivocabile di perdita quando infine lo chiudi e lo metti da parte.
C’è ben poco da dire.
VOTO: 9.8/10 (giusto perché dare dieci su dieci mi risulta difficile)
Recensione libri: Lo Specchio di Dio, Andreas Eschbach
Se cliccate sull'immagine, verrete magicamente teletrasportati nella pagina aNobii riguardante il libro. Usate il teletrasporto con cautela, può dare assuefazione.
Ho dovuto aspettare un po’ per scrivere una recensione a questo libro, perché le sensazioni che mi ha lasciato sono state a dir poco discordanti. Ho dovuto leggere qualcos’altro, riordinare un po’ le idee, rifletterci un po’ su, per poter finalmente buttare giù una o due idee riguardo a questo libro.
L’idea principale che finalmente è venuta a galla dopo questa breve “pausa di riflessione”, è che, dopotutto, questo libro vale bene una lettura.
Ma andiamo con ordine.
La trama – o, quantomeno, la quarta di copertina – vuole che questa sia la storia del ritrovamento del corpo di un viaggiatore nel tempo. O meglio, il ritrovamento di uno scheletro di duemila anni prima… con accanto un manuale di una telecamera digitale di ultima generazione. Così ultima generazione che, addirittura, deve ancora uscire nel momento del ritrovamento. Ovviamente, quello che tutti, immediatamente, pensano, è che se qualcuno si è preso la briga di fare un viaggio di duemila anni con una telecamera, che cosa poteva avere di meglio da filmare se non la vita stessa di Gesù Cristo, alias il Messia, alias il Redentore e tutte quelle altre belle cosine?
Da appassionata quale sono di viaggi nel tempo ed interpretazioni poco canoniche sulla figura di Gesù, questo libro non ha potuto che incuriosirmi fin dalla prima lettura della trama. Purtroppo, essendomi creata delle aspettative forse un po’ troppo elevate, inizialmente è stata una delusione atroce. Anche se, come ho già detto, riflettendoci a lungo, sebbene questo libro non sia un capolavoro, penso veramente che meriti di essere letto.
Ma cerchiamo di essere precisi: in questo libro, a parte un fortuito viaggio nel tempo, non troverete una briciola di fantascienza, delusione numero uno. E neanche ardite considerazioni su Gesù Cristo, delusione numero due.
Questo libro, semplicemente, nasce dalla domanda: come credete che si comporterebbero le persone se venissero a conoscenza di una registrazione che mostra vivo e vegeto Gesù Cristo, redentore e salvatore e bla bla bla? Come reagireste voi? Questo libro si limita ad esplorare le sfumature di questi comportamenti.
Tra i personaggi, abbiamo l’archeologo un po’ fallito che vuole portare la verità al popolo, il milionario sull’orlo del fallimento che con i soldi può comprare tutto ma non gli basta, vuole fare l’affare del secolo vendendo il video al migliore offerente. C’è lo studentello ricco-ma-non-troppo che vuole dimostrare che una persona qualunque può battere un grande milionario, e lo scrittore di fantascienza che, nonostante abbia passato la sua vita a raccontare di viaggi nel tempo, fino all’ultimo si rifiuta categoricamente di credere in tutta questa storia. E meno male, visto che è l’unico che mantiene un po’ di razionalità in mezzo ad una marea di gente che, pur senza aver visto le prove materiali di questo fenomenale ritrovamento, ci credono fedelmente fin dal primo istante, alzando le lodi a Dio onnipotente e cavolate simili.
Persino la chiesa, che dovrebbe essere avvezza a prese in giro e truffe simili – quantomeno così fanno capire all’interno di questo libro – crede quasi subito. E ditemi, secondo voi cosa farebbe la chiesa di fronte alla innegabile prova dell’esistenza del Cristo e della sua reale aura di divinità? Cercherebbe di appropriarsene per mandarlo in mondovisione annunciano “Avevamo ragione noi! E voi avevate torto! Buffoni!”, insieme ad una bella pernacchia verso le altre, gelosissime, religioni? Secondo Eschbach, no. Perché neanche un vero Dio potrebbe reggere il confronto con il mito creato dalla chiesa. Quindi, mandato in campo un discendente degli inquisitori (impersonificato da un siciliano dalle parentele mafiose, cosa che mi rifiuto persino di commentare), fanno di tutto per manipolare, catturare, sotterrare, distruggere, ricattare e minacciare qualsiasi prova o persona a conoscenza di questa storia. Senza ucciderli del tutto, però, perché altrimenti sarebbe stato troppo facile, eh. Perché alla fine questo libro si limita ad essere un precursore dei thriller che devono avere una qualsiasi scusa per avercela contro la chiesa. E, ovviamente, la chiesa alla fine deve perdere. Il che può anche andare bene, ma quando tutto ciò avviene in un modo poco plausibile – come in questo libro – un po’ mi scoccia.
In ogni caso, la trama del libro è ben delineata e i personaggi, nonostante non siano particolarmente realistici, si muovono in maniera plausibile – quasi sempre, almeno – in questa gara a chi deve recuperare prima il tesoro nascosto.
La storia, nonostante tutto, è interessante e affascinante – specialmente, appassiona il vedere come reagiscono i diversi tipi di persone, e come si comportano di fronte a questa scoperta. Il finale, nel suo semplice buonismo, è soddisfacente, e, in un modo un po’ forzato, da senso a tutti i dubbi e soddisfa tutte le curiosità.
Solo, un’ultima cosa, che mi duole ammettere, visto che bene o male questo libro lo consiglio.
Questo romanzo, semplicemente, è scritto poco bene. Per non dire proprio male. In un modo che a me da sui nervi. Per qualcuno probabilmente questo stile, se vogliamo chiamarlo così, non viene neanche notato, ma a me ha dato sui nervi. Per farvi capire, vi riporto l’incipit, esemplare nel suo orrore:
L’aspettava, fin da quando sapeva che un giorno sarebbe diventato celebre. Non aveva previsto di vederla arrivare con tanto anticipo, tuttavia non ne fu stupito.
Dapprima apparve solamente la nuvola di polvere. In lontananza. Se ne accorse conn la coda dell’occhio, poi guardò più in alto. Rimuginò su quello che aveva visto. Il nervosismo dovuto all’impazienza gli aveva giocato un tiro mancino. Probabilmente era così. Tutti i veicoli sollevavano simili nuvole di polvere, quando percorrevano la pista di ciottoli che si estendeva circa un miglio a sud-ovest del campo. Poteva essere soltanto un camion che si recava nel paese vicino. Probabilmente. Non era importante. Non era ciò che aspettava.
Quando l’ho letto, il mio pensiero è stato: Ooooolèèè, e che è, la fiera delle frasi mozze e dei punti aggratis? E tutto, dico tutto, il libro è scritto così. Con frasi smozzacate, di due o tre parole, che si succedono senza darti quasi tregua. Stressante.
Ma nonostante tutto, mi ripeto: un libro che, tenendo presente che non sarà rivoluzionario o sconcertante, vale la pena di essere letto.
Quantomeno col senno di poi, io ne sono soddisfatta.
Anno nuovo, libri nuovi!
Avevo detto che avrei scritto un post in cui avrei parlato di tutti i libri che ho ricevuto e/o comprato nel periodo di fine/inizio anno, e quindi eccomi qui. Non vi preoccupate, la guida torna la settimana prossima.
Per carità, i nuovi libri entrati a fare parte della mia collezione non sono tantissimi, ma siccome mi secca lasciare il blog silente troppo a lungo, eccomi qui. Dunque, andiamo ad iniziare:
- Il libro dell’inquietudine di Bernardo Soares – Fernando Pessoa.
“Il libro di Soares è certamente un romanzo. O meglio, è un romanzo doppio, perché Pessoa ha inventato un personaggio di nome Bernardo Soares e gli ha delegato il compito di scrivere un diario. Soares è cioè un personaggio di finzione che adopera la sottile finzione letteraria dell’autobiografia. In questa autobiografia senza fatti di un personaggio inesistente consiste l’unica grande opera narrativa che Pessoa ci abbia lasciato: il suo romanzo”.
Regalato (sotto mia richiesta).
- L’amore ai tempi del colera – Gabriel Garcia Marquez.
Per cinquantatre anni, sette mesi e undici giorni, notti comprese, Fiorentino Ariza ha perseverato nel suo amore per Fermina Daza, la più bella ragazza del Caribe, senza mai vacillare davanti a nulla, resistendo alle minacce del padre di lei e senza perdere le speranze neppure di fronte al matrimonio d’amore di Fermina con il dottor Urbino. Un eterno incrollabile sentimento che Fiorentino continua a nutrire contro ogni possibilità fino all’inattesa, quasi incredibile, felice conclusione. Abbandonati per una volta i temi più apertamente politici, Garcia Marquez crea con questo romanzo un’irresistibile epopea romantica, uno sfrenato e travolgente inno alla vita e alla fantasia che trova la sua ideale ambientazione nella lussureggiante natura dei Caraibi.
Reagalato (sotto mia richiesta).
- La versione di Barney – Mordecai Richler.
Approdato a una tarda, linguacciuta, rissosa età, Barney Panofsky impugna la penna per difendersi dall’accusa di omicidio, e da altre calunnie non meno incresciose, diffuse dal suo arcinemico Terry McIver. Così, fra quattro dita di whisky e una boccata di Montecristo, Barney ripercorre la vita allegramente dissipata e profondamente scorretta che dal quartiere ebraico di Montreal lo ha portato nella Parigi dei primi anni Cinquanta e poi di nuovo in Canada, a trasformare le idee rastrellate nella giovinezza in “sitcom” decisamente popolari e altrettanto redditizie.
Regalato (non richiesto. Almeno uno!)
- L’ultimo testamento della sacra Bibbia – James Frey.
Che cosa fareste se scopriste che il Messia è vivo? Oggi. A New York. Che fa l’amore con uomini e donne. Che pratica l’eutanasia ai morenti e guarisce i malati. Che sfida i governi e condanna l’ordine religioso. Che cosa fareste se vi capitasse di incontrarlo? Se cambiasse la vostra vita. Gli credereste? “L’ultimo testamento della sacra Bibbia”. Vi sconvolgerà. Vi ferirà. Vi farà paura. Vi farà arrabbiare. Vi farà pensare in modo diverso. Vivere in modo diverso. Vi aprirà gli occhi sul mondo in cui viviamo. Abbiamo aspettato duemila anni l’arrivo del Messia. Lui era qui. Questo libro racconta la sua storia.
Regalato (sotto mia richiesta)
Qui la recensione post-lettura.
- I guerrieri del ghiaccio – G. R. R. Martin.
Dopo aver instaurato il proprio dominio, la regina Cersei domina su Approdo del Re come reggente, ma l’oscura ombra del suo potere si estende per tutti i Sette Regni. Sotto questa costante minaccia continuano però le storie di mille personaggi, alcuni dei quali il pubblico conosce e apprezza, come John Snow, Daenerys e Tyrion, ma anche nuove figure che renderanno ancora più grandioso il quadro delle “Cronache”. Un arcipelago di uomini in continua ricerca del potere o della libertà, per i quali, se la guerra sembra conclusa, la lotta è appena cominciata.
Regalato (sotto mia richiesta)
- Scheletri – Stephen King
Una raccolta di racconti siglata dal Stephen King che, con il suo stile inimitabile, ha fuso immagini di orrore antiche come il mondo con l’iconografia della vita quotidiana dell’America contemporanea. Nelle varie storie compaiono una macchina che realizza i sogni, ma anche gli incubi; un supermercato che diventa l’ultimo baluardo di un’umanità minacciata; un giocattolo terribile… E poi camion vendicativi, bizzarre maledizioni… Dagli abissi del terrore alle fantasie più raccapriccianti, un’opera straordinaria.
Comprato con i punti Feltrinelli accumulati surante l’anno.
- Che tu sia per me il coltello – David Grossman.
In un gruppo di persone, un uomo vede una donna sconosciuta che con un gesto quasi impercettibile – si stringe nelle braccia – sembra volersi isolare dagli altri. E’ un gesto che lo commuove e lui, Yair, le scrive una lettera, proponendole un rapporto profondo, aperto, libero da qualsiasi vincolo, ma esclusivamente epistolare. Più che una proposta è un’implorazione, e Miriam ne resta colpita, forse un poco sedotta. Accetta anche se spera di trasformare le parole in fatti, perché quella in cui lei crede è un’intimità assoluta. Un mondo privato si crea così fra loro, ognuno dei due offre all’altro ciò che mai avrebbe osato dare ad alcuno, e in questo processo di svelamento Yair e Miriam scoprono l’importanza dell’immaginazione nei rapporti umani, e la sensualità che si nasconde nelle parole. E’ una scoperta lenta e dolorosa. Perché Yair – istintivo, spaventato, infantile – nel concentrarsi su se stesso e nel preoccuparsi del proprio fascino, non riesce a capire ciò che Miriam gli sta raccontando per davvero. Solo col tempo si accorge che ognuna delle lettere di questa donna, così generosa nel ricevere e nel dare, racchiude qualcosa di assolutamente inatteso: lei si rivela una creatura di singolare intensità, che ha sofferto, ha lottato, e per questo può condurlo a una svolta nella sua vita interiore. Soltanto lì Yair a poco a poco si ritrae per fare emergere la straordinaria figura di Miriam. Il ritratto di due persone che, nel condividere la parte nascosta di se stessi, inventano un mondo e il linguaggio per esprimerlo.
Comprato con i punti Feltrinelli accumulati durante l’anno.
Qui la recensione post-lettura.
La guerra nel Medioevo – Philippe Contamine.
Caratteri, evoluzioni, implicazioni della guerra dalle invasioni barbariche al Rinascimento. Il volume affronta il fenomeno della guerra dai più diversi punti di vista: l’arte militare, l’armamento, il reclutamento, gli eserciti,le implicazioni morali e religiose, le connessioni con la vita sociale,politica ed economica, e traccia un’evoluzione storica che va dalle scorrerie dei barbari alle crociate, alle grandi guerre di fine Quattrocento.
Comprato con i punti Feltrinelli bla bla.
- Cigni selvatici – Jung Chang.
La storia vera di “Tre figlie della Cina”: l’autrice, sua madre, sua nonna, le cui vite e le cui sorti rispecchiano un tumultuoso secolo di storia cinese, un’epoca di rivoluzioni, di tragedie e di speranze. Dal 1909, quando nasce la nonna di Jung Chang e la Cina è ancora una società feudale, al 1932, che vede, sotto l’occupazione giapponese, la nascita della madre, fino agli anni ’60 quando tocca a Jung Chang il compito di vivere, riflettere e sopportare la realtà del Paese.
Comprato con i punti. Bla.
- Lo specchio di Dio – Andreas Eschbach.
Nella necropoli di Bet Hamesh, non lontano da Gerusalemme, l’archeologo Stephen Foxx scopre lo scheletro di un uomo morto duemila anni prima… accompagnato dal manuale di utilizzo di una videocamera. Lo stupore del ritrovamento si trasforma immediatamente in un inquietante enigma: la videocamera è ancora in progettazione e l’uscita sul mercato è prevista entro tre anni. Le ipotesi si fanno sempre più fantastiche, fino all’incredibile: si tratta di un futuro viaggiatore nel tempo che avrebbe visitato la Palestina del I secolo d.C. per filmare le vicende della vita di Gesù Cristo? Inizia così la ricerca delle registrazioni sullo sfondo di ipotesi scientifiche, intrighi, cospirazioni e oscure trattative finanziarie.
Comprato per non perdere i punti che avevo accumulato negli ultimissimi giorni di Dicembre.
Qui la recensione post-lettura.
E dunque, ecco qui. Ho fatto del mio meglio, ho cercato di scegliere ponderatamente. Roba difficile, per me, che quando entro in libreria il mio cervello va in tilt e vorrei comprare tutto (ma improvvisamente la scelta diventa quasi impossibile quando ho dei soldi da poterci spendere).
Chissà se tra questi c’è qualcosa che verrà recensito – positivamente o negativamente – prossimamente. Ai posteri l’ardua sentenza.
Ora sgombro, che devo leggere.
Recensione libri: Flashforward – avanti nel tempo, Robert J. Sawyer

Classica copertina port-telefilm in cui ti piazzano le immagini del telefilm. Bleah. I grafici sono sempre di un'originalità....
Forse qualcuno ha sentito nominare o ha visto la “fortunata” serie televisiva “di successo” ispirata a questo libro. Ha avuto così tanto successo da essere cancellata dopo una sola stagione ma vabbé, cose che capitano.
In ogni caso, il libro è molto diverso e decisamente più interessante della controparte televisiva.
Sawyer, come ci spiega nella prefazione al libro, ha cominciato a scrivere questo interessante romanzo partendo da una domanda: esiste veramente il libero arbitrio? Per rispondere a questa questione, sviluppa una trama ed un susseguirsi di elementi ed avvenimenti interessanti e appassionanti.
Ambientato nel 2009, Flashforward – Avanti nel tempo ci racconta del momento dell’accensione dell’LHC al CERN di Ginevra. Per qualche motivo inizialmente sconosciuto, l’intera popolazione mondiale viene catapultata avanti di una ventina di anni, vivendo due minuti nel proprio futuro.
C’è chi non ha avuto una visione e scopre quindi che in quel futuro sarebbe morto, chi ha avuto una visione in cui scopre di essere vivo e stare ancora bene, chi ha avuto delle visioni illuminanti e chi ha avuto delle visioni in cui scopre chiaramente di non essere riuscito a realizzare i propri sogni e quindi decide di non farcela ad andare avanti con questa consapevolezza.
Man mano che andiamo avanti, le teorie si susseguono, le domande si fanno sempre più pressanti, e ogni scienziato dice la sua: chi sostiene che il futuro che è stato visto è immutabile, chi è convinto che è una visione di un futuro in cui non era avvenuta la visione collettiva e che quindi non è più lo stesso futuro che vivranno loro, chi sostiene che, in ogni caso, si può cambiare. Miliardi di persone in tutto il mondo, quindi, si ritrovano a lottare contro la consapevolezza acquisita da questa visione.
Insomma, un libro veramente molto interessante, che rilassa, intrattiene ma porta anche a fermarsi e riflettere, a cercare la propria teoria, e, comunque, a sorridere di fronte a quelle degli scienziati.
Solo due cose mi hanno lasciata perplessa in questo romanzo ben fatto.
La prima, è che a pagina 93 possiamo leggere:
Papa Benedetto XVI ha annunciato un intenso programma di visite internazionali […]
Eh? Adesso, a meno che lo stesso Sawyer non abbia avuto un Flashforward, mi risulta abbastanza difficile da credere che nel 1999 lo scrittore non solo abbia immaginato che l’attuale papa di allora sarebbe morto nei successivi dieci anni, ma che anche abbia saputo il nome che sarebbe stato scelto dal papa successivo. Quindi la soluzione mi sembra solamente una: che nell’ultima traduzione il nome del papa sia stato cambiato in modo da essere quello del vero papa attuale. C’è per caso qualcuno che può confermarmelo, che abbia letto la versione originale o ha una traduzione antecedente al 2005? Certo, può anche essere una fantastica coincidenza, però bah…. se è come credo io, me ne chiedo sinceramente il motivo. Che assurdità. La prossima mossa quale sarà, che se la regina Elisabetta II non muore nel 2017, come annunciato nel Flashforward, ma prima o dopo, anche questa parte verrà cambiata? E così via? Bah…
[Nota a fine giornata (siccome mi siddia cambiare tutto, preferisco passare per scema): facendo un’ulteriore ricerca sul web, è venuto fuori che effettivamente Sawyer aveva scritto nel 1999 che il papa successivo si sarebbe chiamato Benedetto XVI. Ora comincio a credere che lo scrittore abbia realmente vissuto un cronolampo. Wow.]
La seconda cosa che non mi convince è il secondo Flashforward, l’unico motivo che mi ha impedito di farmi piacere del tutto questo libro. La seconda visione scade, per me, nella fantascienza più banale e scontata, per non ire proprio brutta. Avrei decisamente preferito qualche cosa di più realistico, perché questo finale va ad intaccare notevolmente l’aura di semi-realismo che questo libro di fantascienza era riuscito, nonostante tutto, a comunicare.
Ciò nonostante, consiglio a tutti questo interessante libro di fantascienza. Anche se avete visto il telefilm, o forse soprattutto se l’avete visto, dategli una bella occhiata: ne vale la pena, ed è molto più interessante e realistico del telefilm stesso.

Con gli affettuosi saluti di Lloyd Simcoe, personaggio sia del telefilm che del libro, anche se non c'entrano un cavolo l'uno con l'altro. Ah, e sapete come si chiama sua sorella? Dolly. Lloyd e Dolly. No comment.