Recensione libri: L’energia del vuoto, Bruno Arpaia

Bruno Arpaia, L'energia del vuoto. Vuoto più o meno come questo libro.

Dare un giudizio a questa opera mi riesce abbastanza difficile.
All’inizio non lo volevo proprio recensire, questo libro. Mi sembrava brutto e basta, senza troppi fronzoli, di quelli che butteresti senza tanti complimenti nella spazzatura. Arrivata verso pagina cento, esasperata da un’accasellamento incomprensibile di errori di sintassi, editing, narrazione e chi più ne ha più ne metta, ho cominciato a prendere appunti con l’intenzione di recensire questa ciofeca. Avvicinandomi a pagina duecento ho comnciato a pensare che, nonostante tutto, qualche cosa da prendere si poteva trovare, qualche spunto accettabile e qualche nozione interessante. Infine, arrivata alla conclusione, desideravo nuovamente buttare il libro in un cesso e tirare lo sciacquone.
Ma andiamo con ordine.

La storia si svolge in due tempi: il presente, in cui Pietro Leoni e suo figlio Nico (“Una consolle sotto il braccio e i pantaloni a vita bassissima come ogni adolescente che si rispetti“, ce lo presenta la seconda di copertina, e mi evito persino di commentare ‘sta cosa) stanno fuggendo per un motivo non identificato (e che si scopre solo a pagina 244, con quello che sembra un grosso errore di coerenza narrativa), viaggiando da Ginevra a Barcellona. L’altra parte della storia, che ci viene raccontata in parallelo, si svolge nel passato prossimo di Emilia (la moglie di Pietro) e i suoi colleghi che lavorano all’LHC del CERN di Ginevra.

Fin dalle prime righe, questo libro appare solo come una scusa per esporre l’enorme cultura in materia che Bruno Arpaia si è fatto intervistando scienziati e fisici. I grandi problemi sono due: il primo è che ad una pagina di storia si alternano dieci pagine di logorroiche spiegazioni scientifiche a dir poco inutili ai fini della narrazione. Il secondo è che Arpaia non è uno scienziato, o un fisico, e si vede: oltre a non saper fare una cernita tra i materiali utili ai fini della storia e quelli di troppo, snocciola conoscenze scientifiche come uno studente che trascrive degli appunti di noiosissime lezioni. Non fa appassionare come forse potrebbe fare uno scienziato con vena romanziera (vedi Asimov).
Il risultato di questo impasto, è che il lettore non avvezzo alla fisica delle particelle finisce col distrarsi ogni mezzo rigo, pensando ai fatti suoi. Tanto più che non si viene minimamente preparati a questo assalto di nozioni scientifiche a cui deve sottoporsi il lettore, col risultato che il lettore a cui per nulla interessa la fisica quando scopre il reale contenuto del libro lo getta di lato.
In ogni caso, non è questo il principale motivo per cui questo libro non funziona. Anzi, una volta abiatuatisi allo stile didattico, il lettore con un minimo di interesse per l’argomento può trovare le spiegazioni scientifiche abbastanza interessanti.
I grandi problemi del libro sono altri.
Molti altri.

-La grammatica.
Ora, io non voglio dire che Arpaia non conosce la grammatica italiana. Onestamente non ne ho idea. Ciò non toglie che il libro è pieno di frasi che non hanno alcun senso, grammaticalmente e logicamente parlando. Sono più che propensa a credere che abbia confuso modi dialettali con l’italiano corrente, e che il libro è stato revisionato solo frettolosamente, con un editing poco accurato che tralasciava di correggere errori piuttosto evidenti, o che coreggeva frasi a metà. Non trovo alcun altro modo per spiegarmi frasi del tipo:

“[…] hanno costruito molto nuovo software […]”

oppure

“Tutta quella filippica, Emilia era rimasta lo sguardo basso, niente convinta.”

Solo a me sembra che manca giusto qualche preposizione?
E via di questo passo.

-Le metafore.
Ora, secondo me prendersi una licenza poetica di tanto in tanto va anche bene. Qualche descrizione più filosofeggiante ogni tanto risulta gradevole al lettore. Ma quando tutto viene descritto in questo modo, cominciano a saltare un po’ i nervi. Specie quando queste descrizioni non hanno nessunissimo senso.
Per chiarirci: un tizio con cui una giornalista parla, ha “le guance tristi”. Eh? Oppure, “Si avvicinava il cameriere con la tazza che balbettava incerta sul vassoio”. E anche, sia le mani che i fulmini “disegnano scarabocchi nell’aria”. O ancora, ci sono “silenzi opachi”, e gente che parla per “spaventare i silenzi”.
A me spaventano queste parole impilate a caso, queste reiterate descrizioni senza alcun senso. Specie calcolando che ce ne sono quattro o cinque per pagina…

-La coerenza.
Ci sono tre tipi di coerenza che vengono infrante in questo romanzo.
La coerenza narrativa: nelle prime pagine, Pietro ripensa al momento della partenza.

“Quando è uscito di casa, trascinandosi Nico ancora mezzo addormentato, ha fatto solo in tempo a ricordarsi che non dovrà mai usare né bancomat né carte di credito. Ha raccattato cinque o seicento franchi e centottanta euro nascosti nei cassetti, più una bottiglia di acqua purificata mezza piena. Così è partito: in fretta e furia, quasi senza bagaglio, sudato come un pugile, con Nico che piagnucolava e gli chiedeva “Papà, ma dove andiamo? E mamma?”, “Poi ci raggiunge, non ti preoccupare”, la voce rotta mentre lo diceva, un temporale in testa e un morso di dolore nello stomaco quando pensava ad Emilia.”

Adesso, penso che se fin dall’inizio Arpaia avesse avuto in mente che i due stavano fuggendo da due omaccioni grandi e grossi, avrebbe potuto (anzi, no: avrebbe dovuto) quantomeno accennarlo. Capisco il voler mantenere il senso di sorpresa, ma se il bambino è abbastanza sveglio da chiedere “Dove stiamo andando?”, è lecito che chieda anche “Chi diavolo sono quei due tizi grossi e armati?”.
La coerenza storica.
Come già detto, il romanzo è ambientato principalmente al CERN di Ginevra, nel periodo dell’accensione dell’LHC. Descrive anche alcuni fatti che avvengono dopo l’accensione – come il danneggiamento di uno dei super-conduttori e la seguente perdita di elio liquido. Cose che sono avvenute nel 2008.
Eppure, tutto il romanzo sembra avvenire in un futuro indefinito. L’acqua è solamente purificata, l’aria condizionata è fuori legge, e la torre Eiffel è stata distrutta da un attentato terroristico di musulmani. C’è qualcosa che non torna solo alla sottoscritta?
La coerenza logica.
Che è quella ce ci si aspetta sempre più di tutte che venga rispettata.
Ossia, se io sto leggendo di scienziati che lavorano al CERN (quindi mica caccapupù), mi aspetto degli scienziati geniali e competenti. Se mi parlano di uno che lavora con l’LHC, per me è uno che conosce tutte le teorie che riguardano l’accelleratore e la fisica in generale. Ma poi ci ritroviamo con uno di questi ricercatori che, dopo aver assistito per caso ad una lezione su come lo spazio e il tempo secondo Einstein siano relative, alza la mano per chiedere spiegazioni riguardo al perché il tempo è relativo. Uno scienziato. Che lavora all’LHC. Non sa perché il tempo per Einstein è relativo. Ooooooccheii….

Ospite d'onore per questa recensione il Dottore Sheldon Cooper. Non è molto felice di questi scienziati del CERN. Sta cominciando a pensare di partire per andare a dirgliene quattro, prendere in mano l'esperimento e risolvere tutti i problemi da solo.

-Il PoV.
Qui la faccio veloce. Dire che in questo libro il PoV è ballerino, è fargli una generosa concessione. Dire che salta da un personaggio all’altro più velocemente di una pulce, è ancora usare un gentile eufemismo.
Il PoV, semplicemente, dura un rigo.Per capirci: riga 1 PoV personaggio x. Riga 2 PoV y. Riga 3 PoV di nuovo x. Riga 4 PoV nuovo personaggio z. Riga 7 PoV passanti occasionali. E via così. Calcolando che in media ci sono cinque o sei personaggi per scena, si capisce la confusione che si crea.

-I personaggi.
Arpaia ci ha provato, a creare delle personalità distinte e minimamente caratterizzate. Con l’uso di piccoli trucchetti – come il fare avere frasi particolari ad ogni personaggio, che ripete fino a rasentare il ridicolo – ci è andato anche abbastanza vicino.
Ciò non toglie, però, che i personaggi sono pessimi, dal primo all’ultimo.
Le donne che vengono approfondite – Emilia, capo di uno degli esperimenti sull’LHC, e Nuria, una giornalista intraprendente e intelligente – sono isteriche, umorali, vaginali. Due perfette idiote, insomma. Non fanno altro che guardare uomini, mostrare il culo e incazzarsi per ogni cavolata quando hanno torto marcio. Specialmente Emilia. Il personaggio meno riuscito della storia. E sì che una donna che ha un compito del genere prometteva di essere un bel personaggio.
Gli uomini, ovviamente, si limitano a guardare il culo alle due e a volersele portare a letto. Di un pathos incredibile la scena in cui Nuria si alza dal tavolo e tutti, ma proprio tutti, forse anche le donne, le guardano il culo. Commovente.
Pietro ha un po’ di personalità in più: essendo sposato a uno dei due culi con le gambe, il suo interesse gravita principalmente intorno al figlio, Nico. Al quale, dall’inizio alla fine, mentre fuggono e mentre è costretto a raccontargli la sua versione paranoica dei fatti, mentre il bambino è disperato o incazzato, mentre il bambino cerca la madre o piange perché ha scoperto che è sparita, solo una cosa riesce a dirgli: “Nico, alzati i pantaloni“. Il carattere dei due personaggi si esaurisce lì: Nico, un bambino che cammina con i “pantaloni al livello dei coglioni” (cit.) e la “consolle sotto il braccio”. Pietro, un padre in fuga a cui interessa solo che il figlio non vada in giro col culo di fuori. A dir poco commovente.
E non ci dimentichiamo, per finire, che Nico, dodici anni, nessuna vera passione a parte i videogiochi, nessuna particolare intelligenza che ci è stata fatta notare fino ad ora (anzi), crea un programma capace di risolvere il problema che un professore di fisica all’università non aveva completamente capito. Ah-ah. Interessante.

Il Dottor Sheldon Cooper comincia a preoccuparsi. Ha forse trovato un degno avversario? No, non ti preoccupare, Sheldon. E' solo una cazzata narrativa.

Per concludere, volevo esaminare il significato del romanzo. Sì, perché potrebbe non sembrare, ma ce l’ha. Per fortuna anche Arpaia non crede molto nelle sue capacità di comunicatore, e decide di scrivercelo papale papale all’interno di una discussione tra Nuria, la giornalista, e Milanesi, il professore del CERN.

“Ma allora?” domandò a bassa voce. “Allora che cosa vuol dire raccontare? Io ho sempre pensato che un romanzo fosse una specie di battaglia a morte con il tempo, un tentativo di riordinare il caos della realtà in una successione un poco più ordinata, manipolando il caos però senza svilirlo, senza ridurlo a un semplice modello troppo prevedibile… Ecco, questo è il racconto. Però, se il tempo non esiste, se la realtà, come ci dice la teoria quantistica, è diversissima da quella che vediamo, allora qual è il senso? A cosa serve provare a raccontare?”
[…]
“Tu sai benissimo che il romanzo non soltanto riflette la realtà, quella che noi vediamo con i nostri sensi, ma ne crea una nuova, una realtà che prima non c’era, senza la quale non riusciremmo nemmeno a concepire la realtà più profonda, più fondamentale. Ed è in questa maniera che il romanzo crea anche un altro tempo… Però bisogna stare attenti a non confondere la realtà con il linguaggio: il linguaggio è molto più adatto a descrivere l’esperienza umana che a esprimere le leggi della fisica….”
“Forse”, s’illuminò a quel punto Nuria, “Forse bisognerebbe provare a raccontare mettendo insieme, come posso dire?, mettendo insieme ‘quanti di narrazione’ che poi, come quegli anellini di cui tu parlavi, nell’esperienza di chi li sta leggendo FORMANO il ‘tempo proprio’, diverso per ciascun lettore….”

Quindi è questo che hai cercato di fare, Bruno? Di mettere insieme dei “Quanti di narrazione“?
Bhè, non posso che plaudere l’intento, trovarlo abbastanza macchinoso da risultare originale… ma, nella pratica, il risultato non è né originale né macchinoso. Molti altri hanno scritto allo stesso modo – e con risultati migliori – senza sproloquiarci tanto sopra.

In ogni caso, al termine, mi ripeto: un pessimo libro, che presenta ugualmente degli spunti interessanti. Se veniva sviluppato in modo migliore, poteva essere una lettura veramente gradevole.

14 Risposte

  1. Ma quando leggi questi libri (presumo sia il tuo lavoro, se spesso non ti piacciono), non senti un senso di vuoto?
    La scorsa estate ho deciso di leggere Italo Svevo, tutto. Tutto quello che non avevo mai letto, perchè secondo me è inutile leggere come si fa al liceo, La Coscienza di Zeno che è il punto di arrivo, senza capire il percorso, l’evoluzione che lo ha portato fin lì. Ho cominciato da “Una Vita” e ho capito perchè volesse intitolarlo “Un inetto”. E’ difficile spiegare cosa ho provato nel leggere tra le righe una ricerca espressiva di un italiano ancora incerto e di un modo di esprimersi suo. Trasuda il disagio di sentirsi italiano ed essere austriaco. E non dico che questo prescinda dalla trama, perchè la lingua rende dicibile un percorso interiore che prima di trasformarsi in linguaggio è solo pensabile e le parole scelte per renderlo dicibile sono esse stesse un percorso verso la costruzione di un’identità.
    Ci sono autori moderni che apprezzo. Mi piace Salman Rushdie, mi piace Baricco, mi piacciono alcuni aspetti del realismo magico. Mi è piaciuto Jeffry Eugenides, mi è piaciuta Arundathy Roy e Il Dio delle Piccole Cose… timidamente qualche sperimentazione linguistica c’è, ma resta uno strumento per raccontare una trama. Non è un percorso. Ma dove stanno le rivoluzioni linguistiche, quelle utili? O altrimenti perchè non trattare la lingua italiana con rispetto, studiandola bene per poi imbrigliare l’ispirazione nel mezzo tecnico che la renda comunicativa?
    Per questo mi è piaciuto moltissimo il libro della Marchesini. E’ un libro educato, pieno di aggettivi, con un italiano forbito e ricercato e allo stesso tempo espressivo. E’ la tristezza che vuole rendere, una tristezza abissale. Ma è così puntuale nei termini, precisa nella sintassi e nella punteggiatura… ci ritrovavo tutte le regole di stile e di composizione dell’italiano che studiavo al liceo e che non ritrovavo dagli anni del liceo. C’è l’italiano che pensavo di aver perso e di poter cercare solo nei classici.
    Uscire dagli orribili neologismi di oggi come bipartisan e cerchiobottismo o dei condizionali utilizzati come proposizioni principali dichiarative mi ha fatto bene al cuore. Adoro la consecutio temporum.
    E non so bene se ho scritto cose intelligenti, perchè sono insonne, mi sta facendo effetto l’halcion e mi ciondola un po’ la testa. In queste situazioni mi sembra sempre di aver scritto robe da zibaldone e poi al mattino me ne vergogno. TU prendila come viene, eh? Domani mi scuso!

    1. No, è davvero un gran bel commento, non c’è molto di cui scusarti. Non credo ci sia molto da aggiungere o a cui rispondere, hai espresso un giudizio veramente molto accurato sulla letteratura in generale, sull’utilizzo della lingua. Non conosco la Marchesini, ma mi hai fatto veramente incuriosire, penso che cercherò qualcosa di suo.
      Comunque, solo due risposte: no, non lo faccio per lavoro (magari!). Diciamo che leggere è la mia passione (una passione che molti giudicano morbosa, ma sorvoliamo), e perciò leggo quasi qualsiasi cosa mi viene data in pasto, che sia gradevole o meno. Mi piace anche leggere libri che non sono proprio capolavori, anche perché quando mi rendo conto di quali sono i fattori che rendono godibile o rivoltante un libro, apprezzo molto di più i libri che hanno veramente qualcosa da dire e che sanno come dirlo. Poi, se consideriamo che i libri che non mi piacciono in genere mi sono stati regalati o prestati, si arriva al risultato che anche se non li trovo esattamente letture piacevoli mi sento un po’ obbligata a portarli a termine.
      E no, non sento un senso di vuoto quando leggo di questi libri, per i motivi che ho spiegato sopra. E in fin dei conti, anche in libri apparentemente pessimi c’è sempre qualcosa che si può prendere come spunto, qualcosa che si può imparare (fosse anche come non si scrive un libro), un lavoro da parte dell’autore, qualche cosa che fa valere la pena di leggere quel libro orribile.
      Ma in fin dei conti, ripeto, io ho un amore quasi morboso per i libri, e pertanto sono un po’ strana nel mio pormi nei confronti della lettura XD

      1. Anche io amo i libri, ma in modo intransigente :-/

      2. Ognuno ha il suo modo di godersi questo amore, eh xD ma non dico che il mio sia migliore… anzi, visto che spesso mi causa fastidi profondi il dover portare a termine libri orribili @_@

  2. avevo capito che sto libro era pessimo,ma non immaginavo fino a questo punto!credo che anche un bambino delle elementari con un pò di fantasia riuscirebbe a scrivere qualcosa di meglio XD

    1. Ma più che altro chiunque con un briciolo di attenzione, accuratezza e serietà in più… perché ripeto, la base poteva portare a risultati molto più soddisfacenti, i presupposti per un lavoro, non dico ottimo, ma quantomeno interessante, c’erano tutti. Pazienza!

  3. L’energia del vuoto – 25%

    Ottima recensione, complimenti.

  4. Ho appena finito di leggerlo e sono corso su internet per controllare se solo a me sembrava una cagata pazzesca! e mi sono subito rincuorato

    1. Ahahah, meno male, mi fa piacere XD

  5. Lo sto leggendo adesso..ed è vero che il romanzo non è che una scusa per esporre le nozioni di fisica e meccanica quantistica che l’autore ha appreso nelle sue interviste ed al Cern, ma quest’ultime le espone talmente bene che ne sono rimasta folgorata (in materia sono veramente ignorante), tanto che la trama del romanzo non la seguo nemmeno più tanto. Credo sia un ottimo libro divulgativo di tematiche veramente difficili, appunto, da divulgare. Ho già ordinato un libro, più specifico (particelle familiari) seguendo uno dei suoi consigli di approfondimento.

  6. Non mi sorprende che anche a qualcun altro questo libra non sia piaciuto. Concordo con chi ha scritto la recensione in pieno. Aggiungo che l’inserimento, nella storia, di fondamentalisti islamici, con sviluppo semi thriller della trama, non può che peggiorare tutta la vicenda e renderla anche svolta con poca conoscenza dei ritmi narrativi di un romanzo che si vorrebbe avvincente. Niente di più noioso e sbagliato. Mi ero accostata al libro perchè era un finalista dello Strega di un paio di anni fa e stava tra gli ultimi 5 alla battaglia finale, che poi è stata vinta da Nesi. Delusione enorme, anche per la casa editrice che di solito ha un buon catalogo.

  7. Perdonatemi le continue citazioni ma ho così tante cose da dire, che il bisogno di schematizzare diventa necessario.
    “Fin dalle prime righe, questo libro appare solo come una scusa per esporre l’enorme cultura in materia che Bruno Arpaia si è fatto intervistando scienziati e fisici.”
    Sì, e quindi? Qual è il problema nel trovare così facilmente la “scusante” che sta dietro ad un libro, soprattutto se è, non dico nobile, ma coerente? Bruno Arpaia avrà intervistato Tizio, Caio e magari anche Sempronio, ma forse, e dico forse, se ha deciso di mettere su carta l’enorme cultura che si è fatto è perché l’ha capita, perché, appunto, se l’è fatta. Ma beato lui ragazzi.
    Non dico che con questo libro io sia riuscita a capire chissà cosa, ma un’idea me la sono fatta, e mi sento di dire che non è poco.
    Le metafore proposte non mi sono affatto dispiaciute, perché a volte,concedetemelo, è proprio vero che la gente parla per “spaventare i silenzi”, inoltre chi come me apprezza con tutta l’anima Baricco, ci fa il callo a cotali espressioni.
    “Non fa appassionare come forse potrebbe fare uno scienziato con vena romanziera” commento del tutto soggettivo. Ho amato Asimov, ma non per questo me la sento di demolire un autore, che prova coscienziosamente a mischiare letteratura e scienza, perché a volte, è l’unico modo per comprenderla davvero fino in fondo.”Non hai veramente capito qualcosa finché non sei in grado di spiegarlo a tua nonna” diceva Albert Einstein, e diciamocelo mia nonna non reggerebbe un’opera prettamente tecnica e scientifica e magari la butterebbe in un cesso (proprio perché non la capisce!).
    “Molti altri hanno scritto allo stesso modo – e con risultati migliori – senza sproloquiarci tanto sopra”. Bravi, davvero. E sti cazzi no? Mia sorella di quattro anni dovrebbe smettere di sognare di diventare una principessa, perché c’è già stata quella gran culona di Cenerentola (cit) a fregarle il posto cinquant’anni prima?
    Non me la sento di dare dieci a questo libro, e neanche di demolirlo basandomi su queste argomentazioni, ma sono davvero stanca di lettori perfettini che alla prima licenza poetica un po’ più spinta tirano fuori gli artigli. “Una lingua viva non è mai perfetta, anzi è naturalmente in una condizione di precarietà e di deriva. A voler giudicare il (basso) livello di consapevolezza, si rischia di censurare persino Dante, Boccaccio e Leopardi, che scrivevano rispettivamente: «perché non ti facci meraviglia», «ove che tu vadi», «io credo che tu abbi in capo una mala intenzione», coniugando i verbi apparentemente a capocchia (Giuseppe Antonelli).”

    Non prendetemi per la paladina-protettrice di Arpaia per carità, ma davvero non capisco cosa di quest’opera (sì per cortesia, manteniamo lo stampatello, eh su) vi abbia spaventato così tanto, gli errori grammaticali? Posso capirlo, ma se vogliamo dirla tutta, io rabbrividisco ancora al finale di crysalis88.

    1. Buonasera.
      Non so se hai fatto un giro per il blog, ma basta poco per vedere che questi giace abbandonato ormai da tempi immemori, nonché che questa recensione sia stata scritta la bellezza di quattri anni fa. E così poco mi era piaciuto questo libro che non ne ricordo più assolutamente nulla. Ma visto che continuano ad arrivarmi le mail di notifica sui commenti ricevuti, e che questo commento in particolare mi ha divertita non poco, eccomi qui a rispondere nonostante di solito eviti accuratamente di dare aliti di vita a questo cadavere ormai decomposto che è il blog.
      La tua risposta è molto bella, davvero, e rimpiango il non conservare ricordo alcuno di questo romanzo per poterti rispondere a dovere.
      L’unica cosa che mi sento di dire è: praticamente rispondi ad ogni critica che io ho mosso a questo romando con “Eh vabbe, fa niente se c’è di meglio”, “sti cazzi”, “e quindi?”. Quindi spero vorrai perdonarmi se mi strappi un sorriso.
      La mia è una critica soggettiva e personale – mi sono sempre fatta vanto del mio preciso intento di non ricoprirmi di un’aura di oggettività, ma di esprimere un giudizio assolutamente personale e non condivisibile – perché il libro, molto semplicemente, NON mi è piaciuto. A te il libro è piaciuto nonostante i difetti che io – non tu, non tizio o caio, ma io, e quindi possibilmente solo io li vedo come tali – posso avervi riscontrato. Allora lasciami rigirare le tue parole: e quindi? Non è concesso avere opinioni differenti? Non è concesso ESPRIMERE, con tutta l’ingenuita del caso, una propria opinione negativa?
      Scusa per i toni della mia risposta, semplicemente mi sembri un po’ troppo rancorosa per una critica che, a meno che tu in realtà non sia il Sig. Arpaia, di certo non ti tocca in prima persona.
      Tu mi dici “e quindi?” in risposta alle mie critiche. E a mia volta ti rispondo: e quindi, per questi motivi, A ME il libro non è piaciuto. Non ho detto che il libro non possa piacere a nessuno. E di certo non sono stata “spaventata” da questo libro, né offesa, né niente. Semplicemente, un libro può piacere o non piacere.
      PS: è vero, e purtroppo me ne accorgo solamente ora, ho commesso un errore grammaticale che definire mostruoso è dire poco. Ma io ero un’ingenua ventiduenne che scriveva su un blog su internet con una manciata di visualizzazioni al giorno. Non sono uno scrittore pubblicato che in teoria passa sotto l’esame di un correttore di bozze. Per carità, fare errori di tale portata (intendo il mio) è pur sempre abominevole, ma di certo non sono esattamente sullo stesso piano, una piccola blogger e un autore pubblicato.
      Cordiali saluti.
      E comunque grazie per la tua opinione, anche se, oltre agli 2e quindi” e “sticazzi”, mi piacerebbe sapere cosa ti è piaciuto del libro, non cosa non ti è piaciuto della mia recensione. 🙂

      1. Buonasera,
        fa sempre piacere strappare sorrisi, me ne compiaccio.
        Hai proprio ragione il post è di ben quattro anni fa, ma il fatto che i vari commenti fossero distribuiti negli anni mi ha dato coraggio. Non sentirti in dovere di rispondermi solo perché ti arrivano le mail di notifica sui commenti ricevuti 😉 .
        Rispetto le opinioni altrui, davvero, non ti piaciuto? Bene. Ti è piaciuto? Bene
        Non è concesso avere opinioni differenti, è NECESSARIO, è un diritto inalienabile.Te ne ho forse privata?
        Quello che non condivido sono le tue argomentazioni, che ci posso fare. E se davvero pensi che ad ogni tua critica io abbia risposto con dei semplici “e quindi?” non solo offendi la mia intelligenza ma anche la tua. Non è stato un riscrivere le tue frasi rispondendo con due parole, su.
        La leggera ironia, quasi velata dietro ogni tuo complimento è davvero troppo smielata per i miei gusti, quasi stride, davvero.
        Mi sono espressa male? Probabile. Speravo si capisse cosa mi è piaciuto del libro? Decisamente. Mi spiace che tu non riesca a ricordare l’opera in questione, perché, davvero, non era così male. A tal proposito evito di sottolineare alcuni errori di fondo della recensione iniziale, perché non sembri avere memoria del libro stesso, e servirebbe solo ad esaltare la mia gloria personale e quindi sti gran cazzi (uh, pardon). La tua recensione non mi è piaciuta proprio perché mi è piaciuto il libro, non serve essere il Sig. Arpaia per sentirsi toccati in prima persona da una recensione negativa, altrimenti pensa che tristezza.
        Sai qual è il vero problema di fondo? Chi ama la scienza apprezza la letteratura, e non viceversa, purtroppo.
        Troppo catastrofica? Probabile.
        Rancorosa?? Condivisibile.
        E quindi??? Buonanotte
        P.S Mi ha divertita (perdonami la scopiazzatura) la tua risposta davvero, perché mi ha dato l’impressione di fermarsi solo alla superficie. Se vuoi smentirmi sono qui, pronta e lieta. Peccato tu non riesca a ricordare il libro, parlarne nello specifico mi avrebbe reso lieto questo dibattito. Pazienza.

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